lunedì 4 aprile 2011

Basta lamentele

Cara Cri
alla negatività c’è un limite e mi sono accorta che quello che era partito come uno sfogo in fase  di malattia stava degenerando in una sequela di lamentele pedanti.
Cosa faccio l’avventurosa che se ne parte per il mondo a fare, se poi mi lamento come una vecchietta piena di acciacchi delle faccende che vanno a rotoli, della carta igienica che finisce sempre al momento sbagliato e del fatto che non ci sono più le mezze stagioni – concedimi solo più quest’ultima, qui fa caldo tutto l’anno.
La vita a Singapore è il mio filo conduttore. Il resto sono quisquilie.
Sono arrivata sull’onda di un cambiamento improvviso, perché la società di George era stata venduta e noi ci siamo ritrovati di punto in bianco a decidere sul nostro futuro. Tornare non ci sembrava un’opzione percorribile. In Italia non avremmo avuto uno sbocco lavorativo immediato e George avrebbe buttato via anni di esperienza sul mercato asiatico senza la certezza di poterli riutilizzare in un nuovo impiego. Anch’io faticavo con la mia attività a Torino. Avere una società web non è molto gratificante in Italia in questo particolare momento di recessione economica, si fatica a vendere così come in altri settori. I siti sono visti spesso come una spesa accessoria, un extra nel budget da dedicare a marketing e promozione del business principale. Senza contare una certa diffidenza di cultura ancora presente per qualunque approccio vagamente tecnologico, soprattutto nel mercato delle piccole imprese a cui mi rivolgevo come target principale.
A Hong Kong avevo ricominciato a lavorare dopo un abbondante anno sabbatico che, oltre ad avermi permesso di godermi famiglia e vita nuova, mi era servito per riorganizzare la nostra routine da zero in un posto sconosciuto, con ritmi e punti di riferimento diversi.
Anche se ora cerco di darmi un po’ un tono, ammetto che adattarsi alla vita da expat – con o senza bambini -  non è stata un’impresa titanica.
A Hong Kong i taxi costano praticamente come prendere un pullman, soprattutto per i tragitti brevi. Il portiere di casa, vestito di lustrini e impomatato, lo chiamava per me, mentre se ero in giro bastava sventolare una mano come Julia Roberts in Pretty Woman per fermarne uno dei tanti. Il nostro palazzo, in una città in cui comunque il crimine è a livelli bassissimi – anche se a Singapore ce n’è ancor meno, ma poi ti racconterò… - era custodito da una serie di guardie: una all’ingresso in una specie di abitacolo con aria condizionata, e una per ognuna delle cinque torri che componevano il condominio. Tutti ti accoglievano con grandi salamelecchi facendoti sentire il presidente degli Stati Uniti ogni volta che tornavi dal supermercato, soprattutto quando si fiondavano ad aprire il portapacchi del taxi per aiutarti a scaricare le borse.
Avevamo anche una guardia preferita, tra le varie che andavano in rotazione a seconda dei turni, dell’orario e dei giorni: un ragazzo di nome Victor che era gentile coi bambini e regalava loro caramelle o si fermava a chiacchierare volentieri con piccoli e grandi.
Che altro? Lunghi pomeriggi in piscina, passeggiate lungo il mare, gente interessante di ogni parte del mondo da incontrare, domeniche al rugby di James dove George allenava la squadra, persino qualche massaggio cinese con le amiche e caffe’ mattutino.
Quando poi ho deciso di rimettermi a fare siti, il lavoro mi pioveva addosso senza alcuno sforzo da parte mia di ricerca nuovi clienti. Solo tramite passaparola. In una città dove le mogli spesso seguono i mariti e a volte sono impossibilitate a praticare il mestiere della patria originale (l’avvocato, la commercialista, l’insegnante…), ho incontrato tante donne che hanno saputo reinventarsi e creare un nuovo servizio o una nuova idea di business e avevano bisogno di presentarla su Internet. Le ho aiutate a crearsi un brand, un’identità aziendale, per quanto piccola, e a differenziarsi dalla concorrenza con un’immagine professionale e coordinata.
Insomma, ci siamo divertiti.
Te lo racconto con molta sincerita’, che non vorrei confondessi con spacconeria. Avevamo le spalle coperte da una grossa azienda, l’occasione di un’avventura unica e la sicurezza di poter offrire ai nostri figli una buona educazione in ottime scuole. I figli, in tutto questo, sono stato il nostro primo pensiero e la nostra ragione ultima, anche se era una bellissima opportunità per noi in quanto adulti. James, Robbie e un giorno spero anche Charlotte considerano normali fatti e circostanze che per me sono ancora eccezionali. Ancora oggi hanno compagni di tutto il mondo, festeggiano le celebrazioni di mezza Asia perche’ in classe ci sono giapponesi, indiani, coreani, malesi e cinesi, oltre agli americani e a tutti gli europei. Imparano il cinese come seconda lingua oltre all’inglese, che nel loro caso era già la prima. Il che significa, molto banalmente, un’occasione di lavoro assicurata per il futuro.
Sembrerà un’ovvietà, ma sono davvero cittadini del mondo, anche se inconsapevoli.
Quando in Italia ci dicevano che eravamo stati veramente coraggiosi a trasferirci in Cina, George ed io ci guardavamo spesso negli occhi con lo stesso pensiero: saremmo stati più coraggiosi a rimanere.
Il coraggio semmai è servito dopo.
Dopo lunghe discussioni e vari incontri che hanno indirizzato il corso degli eventi, George ha deciso di aprire la sua società a Singapore. A Hong Kong non eravamo più coperti dalla società precedente e gli affitti sono proibitivi. Non potevamo più permetterci la nostra casa e avevamo un mese o due di tempo per fare armi e bagagli, trovare una nuova abitazione, spostare i bambini da scuola e trovarne una nuova e trasferirci. Tutto questo con una bimba appena nata.
Dal punto di vista delle tasse, Singapore aveva come Hong Kong i suoi vantaggi. Inoltre è il cuore pulsante del mercato informatico in Asia, e come tale rappresenta un ottimo terreno di sviluppo per il progetto di George, che come sai lavora nel software. 
In due giorni, io, George e Charlotte abbiamo preso l’aereo e siamo andati a caccia di appartamento e scuola. La bambina è passata dal divano giallo a fiori del nostro salotto, su cui trascorreva gran parte del tempo mentre il resto della famiglia le salterellava attorno affaccendata, a solcare l’Equatore per vedere decine di case dall’alto del suo passeggino.
Dopo innumerevoli alloggi in cui sia io che George uscivamo scuotendo la testa rassegnati, finalmente ne vedemmo uno diverso. In genere i condomini nuovi nella zona che avevamo scelto, vicino a un grande parco lungo il mare dove i bambini avrebbero potuto scorrazzare tranquilli nei weekend, sono costruiti con poco spazio interno, con camere piccole e uno spazio comune ridotto, e un’estensione limitata tra i vari blocchi, con la conseguenza che il dirimpettaio tuo vicino ti può vedere in mutande la sera a meno che le tende non siano sempre chiuse. Considerato il repertorio mutande della famiglia e su cui non ci soffermeremo, sapevo che non era l’opzione che faceva per noi.
L’appartamento che l’agente ci mostrò era in un complesso più vecchio rispetto agli altri, costruito negli anni ’80, e per questa ragione molto piu’ spazioso delle versioni moderne e con le torri molto piu’ distanziate. Tra i vari edifici, si snodava un parco interno dalla vegetazione tropicale con due piscine, un giardino attrezzato per bambini e numerosi campi da tennis.
Le così dette ‘facilities’, le strutture comuni per il tempo libero, sono molto frequenti nei complessi condominiali di Singapore, e più accessibili rispetto all’Italia dove sono considerati beni di lusso.
Il parco mi colpì subito per la varietà della vegetazione. Non a caso Singapore è chiamata il ‘giardino dell’Asia’.
Le piante di appartamento con cui adorniamo normalmente i nostri salotti in Italia, qui sono alberi enormi con rampicanti che percorrono i lunghi tronchi fino ai rami. Spesso folte piante di felce sono piantate a motivo ornamentale tra i rami degli alberi della pioggia, mastodontici esempi di foresta pluviale che si ergono maestosi ai lati dei viali.
Una fioritura costante e dai colori vivaci è garantita dal clima che è poco variabile durante l’anno, mai meno di 25 gradi, mai superiore ai 31, con un tasso di umidità maggiore durante il periodo primaverile e estivo.
Dalla grande sala, una terrazza si apriva alla vista di una delle piscine con ombrelloni di paglia e gruppetti di palme e bouganville. Ne fui subito rapita, anche se la casa non era mai stata rinnovata ed era in pieno fulgore anni ’80, con pannelli di legno di un colore del tutto improbabile e un odore di chiuso e stantio.
George vide il potenziale oltre la scorza e organizzò che l’agente seguisse i lavori di ristrutturazione in nostra assenza, durante il mese che ci separava dal trasloco.
Il risultato fu molto soddisfacente ma laborioso, anche perché’ i lavori sforarono oltre la data del nostro ingresso e per due settimane non riuscimmo a utilizzare la cucina. Tutti i pannelli e i mobili, ridipinti di color crema, cambiarono il volto dell’appartamento, illuminandolo e conferendogli, anche grazie ai preesistenti ventilatori da soffitto e all’angolo bar del salotto, un sapore del tutto coloniale.
Le stanze hanno una forma inconsueta, nessuna è rettangolare, nessuna è come e dove ci si aspetterebbe, ma seguono corridoi ricurvi e passaggi quasi segreti. Nel complesso è una casa con personalità e per questo più interessante di quelle ultramoderne che avevamo visto inizialmente.
Ha anche le sue pecche, prima di tutte le formiche che negli anni hanno evidentemente percorso tutti gli anfratti delle pareti e creato il loro nido d’amore accanto al nostro.
Con tre figli, George che per il momento lavora ancora da casa, ospiti dall’Europa quasi tutto l’anno, ci serviva molto spazio e il nostro appartamento attuale ci consente di avere una camera ciascuno, oltre alle stanze comuni. Non essere gli uni sugli altri migliora lo spirito di convivenza, i rapporti interpersonali e l’armonia familiare. Ammetto che, anche con le formiche, sono felice della nostra scelta.

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