venerdì 1 aprile 2011

Avere una figlia; avere una helper


Come sai, siamo arrivati a dicembre.
Il caos ha regnato sovrano nei primi due mesi. E’ stata dura riambientarsi dopo due anni a Hong Kong.  Alla fin fine, tra alti e bassi, quella era la nostra casa, per me, per George e per i bambini. Lì ho avuto la mia terza figlia…figliA, mi fa ancora effetto usare questa parola al femminile dopo due maschi. Io ho una figlia. Strano, no? Anche tu hai due maschi, non trovi che parrebbe normale e naturale continuare con qualcosa che già si conosce, si sa come partorire, crescere, cambiare i pannolini? E invece, la natura sorprende con effetti speciali e mi regala una femmina. Una che capirà di sindrome premestruale e sospirerà alla vista di Johnny Depp. Una che nella sua vita riuscirà a calcolare le calorie dei piatti a lei di fronte in un conteggio rapido e  silenzioso, e sceglierà tra linea o senso di colpa. Una che risponderà a sua madre e la manderà affanculo all’occorrenza ma anche non. Una la cui madre sono io e questa è una realizzazione che ho appena fatto e mi ha gettato nello sconforto, insieme alla scarlattina e alla congiuntivite.
Adesso ha sette mesi ed è adorabile, ma un giorno mi risponderà a tono e con aria saccente. Ma cosa credono queste, che a diciotto anni sappiano tutto della vita e possano sputare sentenze? Però saremo anche complici e ci faremo tante confidenze alla sera con una tazza di latte caldo e biscotti, mentre i fratelli e il padre guardano la partita con una birra in mano. Ecco, la scarlattina mi ha proiettato in un mondo immaginario fatto di cliché.
D’altronde non ho avuto un tubo da fare per due settimane e solo la bambina con cui scambiare quattro chiacchiere durante il giorno, prova a pensare di che livello oratorio e tenore (gu gu’, ga ga’, prendi la giraffina e fai ciao ciao con la manina).
Comunque Hong Kong mi ha legato a se’ a maggior ragione perché è stato il luogo di un parto così sensazionale (una femmina! Adesso lo ridico: una fi-gli-AAAAHHHH….).
Prima di partire, le ho comprato vestitini per la crescita al mercatino di Stanley, vicino a dove abitavamo. Direttamente dalle fabbriche di Shenzhen, campionari bellissimi e a prezzi stracciatissimi delle migliori marche di abbigliamento infantile.
Mi sono tolta la voglia di vestitini fru fru dai tre mesi ai tre anni. Che soddisfazione. Quando le signore del mercato mi chiedevano la taglia e io dicevo: ‘tutte’ rimanevano visibilmente stupite. Soprattutto alla vista della bambina in questione, che all’epoca aveva due mesi.
Ora sono soddisfatta della mia tenacia, perché la ragazza ha un guardaroba degno della figlia di Madonna e acquistare vestiti a Singapore costa più caro. Non mi lascio certo prendere alla sprovvista, io. Se George mi dava ancora un po’corda la ricoprivo da qui alla maturità.
Anche James e Robbie erano ambientati bene. Era una vita molto ovattata e protetta, una vita da expat, come sono chiamati qui in Asia gli stranieri occidentali.  Una versione moderna della vita che facevano i nostri antecessori in epoca coloniale: l’uomo al lavoro, la moglie al seguito con figli e all’improvviso molto tempo a disposizione per riorganizzare una quotidianita’ in un paese sconosciuto, per reinventarsi o a volte, addirittura, annoiarsi.
Come sai avevamo una ragazza filippina che viveva con noi, May, per aiutarmi in casa e a guardare i bambini. L’aiuto domestico part-time è vietato sia a Hong Kong che a Singapore, a meno che non sia locale. In particolare a Hong Kong è quasi impossibile trovare una babysitter o donna delle pulizie cinese.
Le donne cinesi sono grandi lavoratrici in carriera e non vogliono più occuparsi della casa. Lasciano volentieri queste mansioni alle filippine, il cui governo ha accordi speciali con quello di Hong Kong e Singapore per facilitare le assunzioni delle proprie connazionali all’estero. E’ un paese molto povero e il tasso di occupazione è bassissimo. Spesso queste ragazze mantengono un’intera famiglia coi loro proventi.
 Il vincolo per l’assunzione però è che devono vivere sotto il tuo stesso tetto.
Inizialmente ci sembrava una scelta molto costrittiva e che avrebbe avuto conseguenze pesanti sulla nostra intimità e ménage familiare. In realtà si è rivelato un aiuto che è quasi fondamentale in un paese dove non hai famiglia e amici da lunga data, soprattutto in considerazione del fatto che George viaggiava per lavoro ogni settimana. E se vado avanti ancora un po’ con questo tono latente di giustificazione ti racconterò che nei caldi paesi tropicali la vita è ardua senza nessun sostegno, che lo si fa per scopi umanitari e che anche Santa Maria Goretti aveva una ‘helper’ ma non l’ha mai detto a nessuno.
Se vuoi la sacrosanta verità, avere un aiuto costante con due e poi tre figli è stata la manna dal cielo. Io e George abbiamo ricominciato a uscire e avere una vita di coppia. Ogni sabato andavamo a mangiar fuori, scambiare quattro chiacchiere per fare un bilancio della settimana, con la tranquillità che i bambini erano ben accuditi, sereni e non stavano interrompendo la loro routine a causa nostra.
Io stessa, nonostante come tu ben sai ami la mia prole con grande tenerezza e dedizione, la amo ben di più se a volte riesco a scaricarla per riprendere fiato.
Con May in due anni si era creato un rapporto speciale. Con i bambini era eccezionale. Sapeva prenderli come nessun altro, a malincuore ammetto a volte con strategie di persuasione psicologica persino superiori a quelle dei genitori.
Ricordo le discussioni senza fine per tentare di mettere James e Robbie nella vasca da bagno alla sera. May arrivava con piglio deciso ma al contempo senza grande rumore, quasi con passo felpato. Poi sussurrava qualche parolina magica udibile solo dai bambini. Ammaliati, questi si piegavano al suo volere come al suono del flauto del pifferaio magico, si spogliavano e, senza ulteriori proteste, entravano nel bagno. Era una sorta di sussurratrice di bambini, mi pare che ci sia il corrispettivo con i cavalli. Oppure magari li minacciava segretamente di cose tremende, divieti di mangiare caramelle per un’eternità o cose simili. Non credo però, conoscendo il tipo. I bambini le volevano bene.
La stanza di May era dietro la cucina. Gli appartamenti in Asia sono spesso strutturati in modo di avere il ‘maid quarters’, un’area dedicata alla donna di servizio, in genere accanto al luogo dove lei svolge le sue principali mansioni. Col risultato che, dato che la preparazione dei pasti rientra tra queste, la cucina è quasi sempre considerata una non stanza, e quindi è più piccola rispetto alle altre camere e non particolarmente bella.
Mi manca a volte la mia cucina dai mobili gialli di Torino, la cucina della casa in cui ho vissuto dopo il matrimonio, arieggiata e piena di sole e con un bel balcone con vista sul giardino. 
May purtroppo non è voluta venire con noi nel nostro trasferimento a Singapore. Ci ha spiegato che gli stipendi del personale domestico locale sono più bassi rispetto a quelli a Hong Kong. Anche se le avevamo offerto lo stesso salario, lei aveva paura di un nostro eventuale ulteriore trasferimento per ragioni indipendenti da noi. A quel punto non sarebbe più riuscita a tornare a Hong Kong e avrebbe dovuto adeguarsi alle tariffe locali.
Queste ragazze lasciano il loro paese e scelgono di vivere con una famiglia e occuparsene come se fosse la loro. Nascono spesso grandi legami affettivi con i bambini che accudiscono e si affezionano ai datori di lavoro, nonostante mantengano sempre un atteggiamento professionale e discreto, che consente loro di vivere in stretto contatto con qualcuno senza perdere la propria privacy e identità.
Hanno un giorno alla settimana di vacanza, in genere la domenica, e le vacanze canoniche.
A loro spetta un biglietto per un viaggio di andata e ritorno al paese di origine al rinnovare del contratto. Spesso i datori di lavoro, se riescono a permetterselo, pagano un biglietto in concomitanza delle vacanze principali, d’estate o a Natale.  Con May siamo riusciti a mandarla nelle Filippine due volte, mentre noi eravamo tornati in Europa.
Naturalmente non tutte le relazioni domestiche-datori sono cosi chiare. Si sentono spesso storie da entrambi i punti di vista – le amiche di May o le chiacchiere di corridoio tra expat. Storie di abusi o di scappatelle. Storie  di maltrattamenti, di diritti negati. Storie di rapporti diversi tra datori di varie nazionalità, caratterizzate da aspetti culturali, abitudini e approcci diversi. Ad essere sincera, le storie più raccapriccianti erano quelle delle relazioni tra i cinesi o gli indiani e le loro helper. Tante ragazze a cui ho fatto il colloquio quando ho poi trovato May stavano tentando di lasciare un impiego precedente da una famiglia cinese. Mote di quelle che ho incontrato qui, invece, scappano a gambe levate da alcune famiglie indiane.
Naturalmente non si può generalizare, ma spesso i rapporti sono molto più conflittuali perché le ragazze vengono sfruttate, considerate senza diritti e caricate di responsabilità e doveri eccessivi.
Sto divagando. Volevo raccontarti qualcosa e mi sono lasciata trasportare dai ricordi. Sto cercando di trovare un filo conduttore, ma tutto mi sembra ancora un calderone di esperienze in cui è difficile trovare il bandolo.
Voglio provare a spiegarti cosa ha significato per me trasferirmi ed essere catapultata dall’altra parte del mondo. Sento la necessità, soprattutto dopo lunghe e noiose giornate trascorse a letto, con troppo tempo a disposizione per pensare e pochi stimoli per trarne qualunque conclusione, di spiegarlo anche a me stessa.
Potrà a volte emergere un racconto senza ne’ capo ne’ coda.  Ma tenterò, per quanto possibile, di ricongiungere le tessere e i frammenti e offrirti gradualmente il quadro completo. 

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